Translate

Visualizzazione post con etichetta aberrazioni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta aberrazioni. Mostra tutti i post

15.12.14

Coca-Cola Life con Stevia


A volte le multinazionali fanno davvero ridere.
Fa ridere, per esempio, McDonald's, che sponsorizza un "nuovo" panino che si differenzia dai precedenti spesso solo per la posizione del ripieno: la fetta di carne è sopra a quella di formaggio, invece che sotto, oppure la salsa è decisamente più densa.
Fa ridere la Coca Cola, che cerca in tutti i modi di nascondere gli effetti deleteri di un consumo continuato dei suoi prodotti a base di zucchero ed anidride carbonica, come ne parlammo nel post "Cosa c'è in una Coca Cola".
Questa volta la multinazionale secondo me si è superata. Adesso accanto alla Light e alla Zero (la cui effettiva differenza è qualitativamente nulla, è solo una questione di marketing) ha aggiunto un terzo prodotto a basso indice calorico: Coca Cola Life.
Qual è la strabiliante differenza, chiederete voi? Ebbene, nel disperato tentativo di rendere la sua immagine più salutare possibile, la Coca Cola ha diminuito un po' la quantità di saccarosio (lo zucchero che tutti conosciamo) e aggiunto un po' di stevia.

Per chi non lo sapesse, la stevia è una pianta originaria del Sud America che, grazia allo steviolo contenuto nelle sue foglie e in seguito estratto dall'industria alimentare, risulta dolce: le foglie secche hanno un potere dolcificante 300 volte quello del saccarosio, e senza che venga metabolizzato dall'organismo, quindi senza picchi glicemici e senza calorie. Praticamente solo sapore.

Ma compariamo i valori nutrizionali in lattina delle due cole:

 Ebbene, le calorie di Life sono di meno, ma la quantità di carboidrati (zuccheri) non è drasticamente diminuita. In una lattina di Coca Cola troviamo più di 4 cucchiaini di zucchero, in una Life "solo" 3. Come mai non c'è quella grande differenza che ci potremmo aspettare? Confrontiamo gli ingredienti:
 
La mancata differenza tra le due cole è spiegata dal fatto che gli ingredienti sono quasi esattamente gli stessi!
La differenza? In Life hanno incrementato la quantità di aromi rispetto all'acido fosforico e aggiunto lo steviolo che, essendo all'ultimo posto, è in quantità ridicola. Come riportato nel nostro post su diabete, obesità e Coca Cola, il 99% della Coca Cola è acqua e saccarosio (vedi immagine a lato).

Quindi ci viene davvero da chiederci: ma ci provano gusto a prenderci per i fondelli?! La stevia, usata dalle popolazioni locali del Sud America come dolcificante e persino cura, un ingrediente ancora costoso e prezioso per chi vuole evitare picchi glicemici o portatori di diabete, aggiunto ad un mare di acqua e zucchero (e CO2 e H3PO4) dovrebbe avere qualche effetto positivo? E su cosa poi? La percezione dell'assumere un cucchiaino di zucchero in meno per ogni lattina?

La verità è che, in nome di soldi e marketing, qualche azienda venderebbe anche il diavolo spacciandolo per acqua santa. La Coca Cola, in nessuna delle sue varianti, è una bevanda salutare. Ragion per cui andrebbe evitata quanto più possibile. In particolare nei bambini, evitando di fargliela trovare a tavola durante il pranzo: troppi, troppi zuccheri che contribuiscono in maniera negativa all'apporto giornaliero necessario e favoriscono lo sviluppo di obesità e diabete. 
Certo, una lattina di veleno ogni tanto non è una tragedia, il nostro corpo compensa e non siamo certo bacchettoni qui.
Però non lasciamoci prendere per i fondelli dalle multinazionali: un granello di stevia nella cola non la rende meno dannosa.

NB: Coca Cola Life è stata commercializzata all'inizio solo in America. Starebbe arrivando anche in Europa. Quindi uomo avvisato, mezzo salvato ;)

30.10.14

Principesse Disney più umane

L'unica che posso scusare è Ariel, perché una sirena quindi non totalmente umana. Ma, francamente, anche con qualche costola in più la rossa sirenetta è senza dubbio bellissima.
Mettere a confronto le immagini prima-dopo ci fa vedere quanto ridicole siano le proporzioni dei cartoni animati: per quanto opere di fantasia, per quanto linee stilizzate, qui abbiamo donne con il collo più largo del punto vita!

ARIEL



AURORA



BELLE



ELSA



JASMINE



POCAHONTAS


21.5.14

Ecco l'uomo e la donna perfetti



Lo sapete che l'estate sta arrivando?
Lo sapete che la famigerata "prova bikini" è alle porte?
Come se potessimo dimenticarcene...

Recentemente il marchio Bluebella, che commercia abbigliamento e accessori sexy, ha chiesto ai propri clienti di creare l’uomo e la donna perfetti assemblando pezzi di corpi di personaggi famosi. Una specie di moderni mostri di Frankenstein.
È stato singolare, ma non completamente inaspettato, notare che la donna ideale ha forme e caratteristiche diversi a seconda dei gusti maschili o femminili. E, viceversa, l’uomo ideale è diverso se a pensarlo è una donna o un uomo. Ecco i risultati dei collage:

Secondi i gusti maschili, sia il maschio che la femmina sono... più esagerati rispetto alla scelta femminile: più capelli, seno, fianchi e cosce per la donna perfetta; più bicipiti, pettorali, quadricipiti e fama calcistica per l'uomo perfetto.
La spiegazione per una maggiore enfasi sull’aspetto fisico potrebbe essere che gli uomini sono più eccitati da stimoli visivi e dunque diano maggiore importanza all’attrattività fisica (9).

Sarebbe stato interessante, inoltre, chiedere ai clienti cosa pensavano del proprio aspetto.
Trovare qualcuno che sia al 100% soddisfatto del proprio corpo è praticamente impossibile.
L’insoddisfazione corporea è definibile come la distanza tra il proprio peso e corpo reali e quelli ideali.
Dati statistici precisi non ne abbiamo, perché le ricerche su questi argomenti vengono effettuate soprattutto su campioni clinici, ovvero con soggetti che già sono ricoverati con un disturbo.
Infatti, l’insoddisfazione per il proprio corpo è uno dei sintomi principali dei disturbi dell’alimentazione che, come risaputo, sono principalmente anoressia, bulimia e binge eating (abbuffate).
Il problema principale si riscontra quando associamo l’insoddisfazione alla nostra autostima e identità. Inoltre, le persone che affermano di essere state canzonate e prese in giro per il proprio aspetto fisico riportano maggiore sintomatologia da disturbo dell’alimentazione (1).

I disturbi dell’alimentazione si presentano in maniera diversa a seconda della cultura e del periodo storico. Sembrerebbe che l’obiettivo della magrezza sia presente in culture in cui il cibo è presente in abbondanza (2). Seppure le prime ricerche e teorie (per es. 3) affermavano che i disturbi dell’alimentazione erano concentrati nella fascia socio-economica più alta della popolazione, negli ultimi anni le differenze sociali si sono attenuate. Ulteriori ricerche sono necessarie per comprendere se sia dovuto a fattori meramente economici, ai cambiamenti nei canoni di bellezza trasmesso dai media o alla maggiore attenzione dedicata ai disturbi dell’alimentazione.

I media, infatti, sono spesso indicati come importanti responsabili della diffusione del valore della magrezza: modelle sottopeso in passerella, uso di programmi di fotoritocco per mostrare attrici e personaggi famosi in copertina, larga presenza di consigli alimentari e diete nei periodici (4).


L’immagine idealizzata proposta dai media è fatta quasi esclusivamente da persone normopeso o, sempre più spesso, sottopeso, dunque non rappresentative della varietà presente nella realtà (2). Gli studi affermano che è il tipo di programma che si guarda, più che la quantità, a fare la differenza: soap opera, film e video musicali sono associati con insoddisfazione per il proprio corpo e impulso alla magrezza (4).

Pensiamo ad una delle soap opera più famose e longeve della storia della televisione: Beautiful. Praticamente ogni attore sotto i 60 anni è un body builder, mentre le donne sono perennemente e perfettamente truccate, pettinate, magre e giovani. E qui stiamo parlando di immagini viste da 500 milioni di persone al mondo, 5 giorni alla settimana.


Il problema della circolarità causa-effetto si ripropone: occorre chiarire se è l’esposizione ad influenzare lo sviluppo di disturbi dell’alimentazione o, al contrario, se coloro che già presentano sintomi come l’insoddisfazione corporea cercano attivamente conferme nei programmi televisivi, i periodici o internet.

Al proposito riporto un interessante studio di Becker (5) nel quale si confrontava la prevalenza di disturbi dell'alimentazione prima e dopo l'arrivo della televisione nelle isole Fiji nel 1995. Nella cultura di queste isole era valorizzato un sano appetito e un corpo rotondo, sinonimi di ricchezza e cure familiari. Nel 1998 il ricorso alle diete era salito dallo 0 al 69% e i giovani isolani riportavano i protagonisti dei telefilm come modelli e ispirazione della loro volontà di perdita di peso.

Se fino a poco tempo fa i disturbi dell’alimentazione erano appannaggio delle ragazze caucasiche di classe medio/alta, la pervasività del fenomeno ha toccato anche l’altra metà del cielo. L’immagine idealizzata del corpo maschile veicolata dai media è quella con muscoli sviluppati, con un peso moderato, virtualmente senza grasso, con una particolare enfasi su addominali definiti e muscoli pettorali (6). Oggigiorno la società preme in misura crescente sulle preoccupazioni maschili, esattamente come ha fatto per decenni sulle insicurezze femminili (Pope, Philips & Olivardia, 2000).
Inutile dire che essere magri ma muscolosi per i maschi NON è la NORMALITA', come essere magre e con la quarta di reggiseno per le femmine. Ma per i ragazzi si aggiunge un fattore di rischio in più: la dismorfia muscolare, o anoressia al contrario: il problema il più delle volte non è sentirsi grassi e dunque l’attenzione non è sul dimagrire, bensì sul guadagnare peso poiché ci si vede troppo magri, anche nei casi in cui in realtà si sia già muscolosi (7).

Barbie vs Real life
Barbie vs Real life proportions
A questo proposito ricordiamo la ricerca di Pope (8) in cui sono stati messi a confronto alcuni giocattoli che ritraevano gli stessi personaggi maschili nel 1978 e nel 1998: nell’arco di 20 anni lo standard ritratto è aumentato di massa muscolare e anche i muscoli sono più definiti. Usando metodi allometrici, gli autori hanno provato che le misure dei giocattoli superano di gran lunga quelle ottenibili da qualsiasi bodybuilder nel mondo reale (vedi immagine sopra).

La presenza capillare di queste immagini, spesso ritoccate con software allo scopo, dà l’idea che sia quella la normalità e che, se non si rientra in quei canoni, non solo non si è percepiti come attraenti, ma non si è neppure normali. Se i media continueranno a promuovere l’irraggiungibile corpo perfetto (quel corpo ottenuto da fotomodelli e attori il cui lavoro è concentrato sull’aspetto fisico e per il quale hanno a disposizione soldi e mezzi; quel corpo presentato senza grasso e smagliature grazie al fotoritocco), non c’è da stupirsi che continueremo a rincorrere e provare ad ottenerlo, mettendo a rischio la nostra salute con diete impossibili, esercizio fisico scorretto e sostanze dopanti.
Questo potrebbe portare ad un aumento di ragazzi e ragazze non solo troppo concentrati sull’immagine esteriore, ma anche profondamente insoddisfatti.




 (1) Lunner, K., Werthem, E.H., Thompson, J.K., Paxton, S.J., McDonald, F., & Halvaarson, K.S. (2000). A cross-cultural examination of weightrelated teasing, body image, and eating disturbance in Swedish and Australian samples. International Journal of Eating Disorders, 28, pp. 430–435.
(2) Keel, P.K. (2005). Eating Disorders. Pearson, Prentice Hall, New Jersey.
Makino, M., Tsuboi, K., Dennerstein, L., (2004). Prevalence of eating disorders: A comparison of Western and Non-Western Countries. Medscape General Medicine, 6-3, p.49.
(3) Garfinkel, P.E., & Garner, D.M., (1982). Anorexia Nervosa: A Multidimensional Perspective. New York: Brunner/Mazel.
(4) Derenne, J.L., & Beresin, E.V., (2006). Body image, media, and eating disorders. Academic Psychiatry, 30, pp. 257-261.
(5) Becker, A.E., Burwell, R.A., Gilman, S.E., (2002). Eating behaviours and attitudes following prolonged exposure to television among ethnic Fijian adolescent girls. British Journal of Psychiatry, 180, pp. 509—514.
(6) Fairburn, C.G., Brownell, F.D. (2002). Eating disorders and obesity: A comprehensive handbook. Guildford Press, New York.
(7) Pope, H. G., Philips, K., & Olivardia, R. (2000). The Adonis complex: the secret crisis of male body Obsession. Simon & Schuster.
(8) Pope, H.G., Olivardia, R., Gruber, A., & Borowiecki, J. (1999). Evolving ideals of male body image as seen through action toys. International Journal of Eating Disorders, 26, pp. 65-72.

(9) Townsend, J.M. & Levy, G.D., (1990). Effects of potential partners' physical attractiveness and socioeconomic status on sexuality and partner selection. Archives of Sexual Behavior, 19: 149-164.

19.11.13

Un corto sul rapporto tra Homo Sapiens e natura

L'animatore e illustratore Steve Cutts ha realizzato un corto in Flash e After Effects dal titolo "Man". Un filmato che, nel suo essere cartoonesco e comico, ha un retrogusto amaro. Parla infatti della storia (vera) di come uno tra gli animali che vivono sul Pianeta Terra abbia cominciato non ad usare bensì a sfruttare ed abusare delle risorse del pianeta stesso. La fine è tragicomica.

Non so voi, ma io preferirei essere ricordato per altre cose. Vorrei ri-intitolare questo corto "Man till 2013 a.D.".

6.9.13

Coca-Cola multata dall'Antitrust


Circa un anno fa mi sono divertito a sviscerare un depliant della Coca-Cola inserito in alcune riviste e metterne in evidenza le contraddizioni e le notizie false o fuorvianti, dati scientifici alla mano.  Nemmeno a dirlo, in un libro di favole si trovano meno fandonie.

Mi rincuora sapere che a dirlo è anche un'autorità che ci protegge da eventuali scorrettezze: l'Antitrust.
L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, infatti, ha chiesto alla Coca-Cola di correggere le "le informazioni nutrizionali fuorvianti, non chiare e incomplete sulla Coca-Cola e i suoi ingredienti" contenute in quel libretto. Al suo posto, la multinazionale dovrà scrivere informazioni vere sul "reale valore nutrizionale" della sua bibita.

D'altronde come stupirsi, quando nel suddetto depliant si rincuora la mamma di turno, dicendole che bere Coca-Cola fa bene alla salute, perché contribuisce l'idratazione del corpo. Che favorisca l'idratazione possiamo anche accettarlo, in quanto la Coca-Cola è fatta per l'99% di acqua e zucchero. Ma veicolare un messaggio del genere è come dire: mamma, fa bere al tuo bambino l'acqua delle pozzanghere sull'asfalto, contribuisce alla sua idratazione!

Speriamo che questo sia l'inizio di un percorso di responsabilizzazione di questa multinazionale con un fatturato di 46,542 miliardi di $ l'anno.

31.7.13

Macellai per bambini: gara di solidarietà?


Nel settembre dell'anno scorso si è tenuto a Milano l'evento "Butchers for children", pensato come gara di solidarietà per sostenere le vittime del terremoto in Emilia Romagna.
L'obiettivo dell'evento è senza dubbio lodevole, non mi ci soffermo neppure.
Ma di buone intenzioni è lastricata la strada per l'inferno.

L'inglese utilizzato rende accattivante un evento che, in italiano, avrebbe il nome di un film dell'orrore: Macellai per bambini. Una specie di spauracchio per bambini capricciosi che non vogliono lavarsi i denti prima di andare a letto.
Questa è la nota di colore.

Le note dolenti sono queste: avevamo davvero bisogno di una festa del macello?
Avevamo davvero bisogno di incentivare l'uso della carne nella nostra alimentazione, quando il suo eccessivo uso in occidente (e crescente nelle nazioni in via di sviluppo) è causa di:
disboscamento
abuso dell'acqua potabile
inquinamento
maltrattamento degli animali
e ancora:
ipertensione, diabete, obesità e ipercolesterolemia e altre cosiddette "malattie del benessere" causate da un'alimentazione sbagliata che introduce troppi grassi e proteine animali.


E se non bastasse, oltre allo spreco di spazio e acqua va aggiunto quello di cibo: per comprare 1kg di maiale, sono stati utilizzati 6kg di vegetali. Se poi parliamo di carne di agnello, arriviamo a  33kg. Perché l'animale deve essere nutrito (leggi: ingozzato), e anche in enormi quantità, per crescere il più possibile nel minor tempo possibile.

Vogliamo altri particolari del ciclo di produzione della carne? Sono disponibili su questo blog gli articoli approfonditi sull'argomento.

Mentre ad Amsterdam si è battuto quest'anno il record mondiale per il tavolo più lungo del mondo in cui venivano serviti pasti vegetariani per sensibilizzare la gente, in Italia siamo fermi alla festa in cui venivano serviti mille spiedini in tre ore. Un record anche questo, non c'è che dire.

Avevamo davvero bisogno di mettere in mezzo i bambini in questa iniziativa? Avevamo bisogno di strumentalizzare una fascia di popolazione da proteggere per questa "rassegna del gusto", per utilizzare le parole del comunicato?

Organizziamo una gara di solidarietà per "raccogliere fondi da investire in progetti per l'infanzia", quando nel frattempo aiutiamo a diffondere un modello alimentare che mette in pericolo proprio i nostri figli, esacerbando i problemi ambientali che li attenderanno da grandi.

Parliamo di "educazione alimentare" quando in realtà non si fa che ripetere di aumentare il consumo di frutta e verdura, perché ne mangiamo troppo poca.

Parliamo di solidarietà quando, per mangiare tutta quella carne, abbiamo lasciato che milioni di animali venissero torturati negli allevamenti, trasportati per ore, uccisi nel macelli, mentre abbiamo deciso di dare da mangiare a quegli animali il cibo che avremmo potuto spedire nelle zone povere del mondo.


In definitiva, questo evento risulta essere di beneficio per una sola categoria: i macellai, quei butchers che credono, e molto probabilmente in buona fede, di fare del bene ai bambini. Ma nel frattempo si fanno pubblicità. Non è la prima volta che i bambini vengono tirati dentro agli interessi degli adulti.

A noi genitori il compito di proteggere i nostri figli. Perché quest'anno l'evento si ripeterà, il primo di settembre, e col seguente slogan: "La ciccia fa bene ai bambini".
https://sphotos-a.xx.fbcdn.net/hphotos-frc3/p480x480/970460_10151618228247179_664152182_n.jpg

Mi dispiace, ma la ciccia non fa tanto bene ai bambini. 

In base al grande studio europeo EPIC (Indagine Prospettica Europea su nutrizione e Cancro), le carni rosse e processate sono fattori di rischio per il cancro al colon-retto e allo stomaco e, in più, bruciare la carne alla griglia crea sostanze collegate allo sviluppo di tumore al rene. Al contrario le fibre, contenute esclusivamente nei vegetali, costituiscono un fattore di protezione.


Molti si sono sollevati contro quest'evento, per esempio il "Comitato contro la festa mondiale dei macellai" che raggruppa le sezioni modenesi di LAV e OIPA e LAC nonché alcune associazioni locali quali Animal Empaty, Animanimale e Azione Animalista Modena. Potete leggerne di più sulla loro pagina Facebook.

Cosa vogliamo insegnare ai nostri bambini? Faremmo meglio a creare l'evento "Greengrocers for children", coinvolgendo gli agricoltori locali, per sensibilizzare adulti e bambini a:
preferire prodotti a km zero, per evitare l'inquinamento per lunghi trasporti
preferire cibi coltivati biologicamente, per preservare l'ambiente in cui viviamo
seguire un'alimentazione ricca di frutta e verdura, meglio se di stagione
rispettare gli animali, senza fare distinzione di specie tra un vitello ed un cucciolo di cane

Seppure in futuro ci sarà occasione di creare tale evento, speriamo che quest'anno più genitori faranno una scelta intelligente.

Vuoi far sentire anche la tua voce? Copia il link di questa pagina sul tuo profilo Facebook, lascia un commento, diffondi la notizia.

2.12.12

Gli orientamenti sessuali e l'omofobia




Il 30 novembre a Venezia un ragazzo di 16 anni si è fatto forza e, assieme alla sua famiglia, ha denunciato i compagni di scuola colpevoli di bullismo omofobico. Solo cinque giorni prima a Roma una donna transessuale è stata picchiata a sangue per aver chiesto un passaggio con troppa insistenza. Mentre ancora ricordiamo il suicidio del ragazzo di 15 anni che si è impiccato a seguito delle persecuzioni omofobiche sempre da parte dei compagni di classe.
Questa non è una situazione di emergenza, non è una situazione stra-ordinaria. È la quotidianità in un Paese in cui l’unico orientamento sessuale possibile è quello eterosessuale.
Ma in Paesi come l’Italia non importa se tu sei veramente gay/lesbica/transgender, quello che importa è come gli altri ti percepiscono: se i tuoi comportamenti non rientrano negli stereotipi culturali di maschio vs femmina, potresti essere vittima di omofobia. In Paesi come l’Italia tuo figlio, a scuola, potrebbe essere chiamato “frocio”, essere vittima di attacchi verbali e fisici, e probabilmente tu non lo saprai mai.
Più avanti faremo un confronto tra l’Italia e la realtà Europea. Dopo questa introduzione, andiamo più a fondo nell’argomento.


1 Gli orientamenti sessuali

La teoria di Alfred Kinsey spiega l’orientamento sessuale come un continuum, una linea ai cui estremi vi sono l’omosessualità e l’eterosessualità: gli individui (con i loro pensieri, comportamenti, attitudini, ecc.) si dispongono in un punto qualsiasi di questo continuum, ed è probabile che questa posizione cambi durante l’arco della loro vita.
La stima adottata ufficialmente dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per valutare l'incidenza dell'omosessualità esclusiva all'interno della popolazione umana è del 5% e proviene da una ricerca risalente al 1947, effettuata dal biologo e sessuologo Alfred Kinsey. A questo dato, che si riferisce al numero di persone che avevano avuto rapporti esclusivamente omosessuali, dovremmo accostare un ulteriore 5% che è invece il numero di soggetti che, pur avendo avuto rapporti con entrambi i sessi, ne avevano avuti soprattutto con persone del loro stesso sesso. Il cosiddetto Rapporto Kinsey è una ricerca molto importante per l'elevato numero del campione e perché si basa sui comportamenti effettivi e non sull'opinione del soggetto. Le numerose critiche avanzate, quasi esclusivamente di stampo moralistico e religioso, sono state smentite da studi successivi che hanno confermato la correttezza dei metodi di Kinsey. Per esattezza, i risultati sono i seguenti: il 46% dei soggetti maschi ha avuto rapporti sessuali di diverso tipo con persone di entrambi i sessi; il 37% ha avuto almeno una volta un'esperienza omosessuale; il 10% ha avuto esclusivi rapporti omosessuali per almeno tre anni tra i 16 e i 55 anni (Kinsey et al. 1998a). I dati relativi alle donne sono: l'11% ha avuto rapporti indistintamente omo ed eterosessuali tra i 20 e i 35 anni; nella stessa fascia d'eta, la percentuale di donne che hanno avuto esclusivi rapporti omosessuali è dal 2 al 6% (Kinsey et al., 1998b).
L'intero mondo scientifico, quindi, afferma che:
tutti gli orientamenti sessuali hanno la stessa dignità d’essere e siano tutti allo stesso modo espressione della natura degli esseri viventi (non solo degli esseri umani);
al momento, non è stata scientificamente trovata una "causa" definitiva né genetica né di altro tipo per gli orientamenti sessuali: la teoria più accreditata è che sia una risultante di interazione tra genetica ed esperienza, come moltissimi aspetti degli esseri viventi;
 l'orientamento sessuale non è una scelta: l'individuo non sceglie di sentirsi in un certo modo, di sentirsi sessualmente ed affettivamente attratto da un maschio piuttosto che da una femmina o da entrambi. Quello che l'individuo prova nel suo profondo è l'espressione del suo orientamento sessuale.



2 Cos’è l’omofobia

Il termine omofobia è stato coniato nel 1971 da Kenneth Smith e rappresenta una forma atipica di fobia che si riferisce ad una serie di reazioni fisiologiche e psicologiche involontarie alla presenza di persone con orientamento omosessuale. È considerata una forma atipica di fobia in quanto «molti comportamenti e affermazioni comunemente considerati omofobi non sono principalmente basati sulla paura o l’imbarazzo, ma piuttosto sul pregiudizio e la disapprovazione» (Lingiardi, 2007a, pag. 47). Allontanandosi quindi dall’irrazionalità della fobia classica, l’omofobia è piuttosto un fenomeno sociale al quale l’individuo è esposto fin dall’infanzia, in quanto immerso in contesti familiari, scolastici e, più in generale, sociali nei quali l’orientamento accettato è quello eterosessuale, in una cultura eterosessista in cui ogni altro orientamento sessuale è un argomento tabù, bersaglio di denigrazione e derisione e l’omosessualità può essere considerata peccaminosa, ridicolizzabile, una malattia (Lingiardi, 2007a).
Secondo diversi autori, la parola “omofobia” è riduttiva, nonché poco corretta, in quanto è questo un fenomeno non solo psicologico, ma anche sociale, culturale, legale ed etico (Raja & Stokes, 1998; Blumenfeld, 1992). Nella fobia, come comunemente definita, l’individuo è consapevole della sua irrazionalità ed inadeguatezza e, di conseguenza, vorrebbe liberarsene. Nel caso dell’omofobia, al contrario, l’individuo ritiene normale e giustificata la sua reazione, la quale non compromette il suo funzionamento sociale, e non avverte il bisogno di cambiare il suo atteggiamento. Inoltre, l’omofobia può esprimersi non solo con l’evitamento, come nel caso della fobia classica, ma anche con comportamenti attivi di avversione o deliberata aggressività. Inoltre, proprio per il suo carattere multidimensionale, l’omofobia può evidenziarsi in taluni campi di opinione, mentre può essere assente in altri: ad esempio, una persona potrebbe essere a favore dell’estensione di alcuni diritti alle persone omosessuali, ma avere reazioni negative nell’interazione diretta con alcune di esse. Le ragioni appena illustrate avrebbero quindi convinto alcuni studiosi a parlare di “omonegatività”, in cui la dimensione psicologica di “fobia” è solo uno degli aspetti da considerare (Prati, Pietrantoni, Buccoliero, Maggi, 2010; Lingiardi, 2007a).
I risultati delle ricerche mostrano che gli atteggiamenti omofobici si riscontrano maggiormente verso gli omosessuali del proprio sesso e nella popolazione maschile più che tra le donne (Prati, Pietrantoni, & D’Augelli, 2011; Lingiardi, Falanga, & D’Augelli, 2005) . La spiegazione di questo fenomeno è stata indicata in tre motivi: la socializzazione tra maschi è maggiormente vincolata a rigidi schemi e prevede meno variabilità rispetto a quella tra femmine e tra individui di sesso opposto; la convinzione comune è che ruolo di genere culturalmente stabilito e orientamento eterosessuale coincidano più negli uomini, mentre questa sovrapposizione non è necessaria nelle donne; il ruolo di genere maschile porta vantaggi sociali essendo identificato con potere, popolarità, prestigio (Prati et al, 2010).
Unitamente agli ultimi due punti, occorre ricordare che, stereotipicamente, il maschio eterosessuale considera la donna come preda ed oggetto sessuale. L’essere a sua volta considerato obiettivo dell’attenzione da parte di altri maschi metterebbe in pericolo la cultura eterosessista in cui il maschio è, appunto, il sesso dominante (Keel, 2005; Chodorow, 1999). Nonostante questo concetto di mascolinità stia attraversando un periodo di mutamento, studiosi di antropologia e sociologia hanno osservato come “essere maschi” nella società occidentale moderna si articoli più con la negazione che con l’affermazione di alcune caratteristiche: non essere femminile, effeminato, docile, dipendente, sottomesso, ecc. Queste caratteristiche sono stereotipicamente viste come, appunto, espressione di orientamento omosessuale, in una errata sovrapposizione tra ruolo di genere, identità  di genere ed orientamento sessuale (Dimen & Goldner, 2006; Herek, 1996).
Nel caso di individui appartenenti a minoranze, ad esempio etniche o religiose, pregiudizio e discriminazione vengono generalmente controbilanciati dal supporto della propria famiglia e rete sociale. Nel caso di persone con orientamento omosessuale, tuttavia, questa forma di supporto viene solitamente a mancare. Un significativo numero di persone nasconde il proprio orientamento omosessuale dai parenti per evitare di sperimentare la discriminazione all’interno della propria stessa famiglia. La mancanza di supporto rende gli attacchi discriminatori seri fattori rilevanti e misurabili di stress (Saraceno, 2003; Moss, 2003).

Il minority stress si riferisce allo stress derivante dall’appartenere a un gruppo di minoranza: può accadere che lo sviluppo psicologico delle persone omosessuali ha segni di stress continuativo conseguenza di ambienti ostili o indifferenti a episodi di stigmatizzazione e violenza omofobica. Meyer (per es. Meyer & Northridge, 2006) indica tre dimensioni del minority stress sperimentato dalle persone con orientamento omosessuale: omofobia interiorizzata, stigma percepito, esperienze di discriminazione e violenza subite. La ricerca indica una correlazione positiva tra il minority stress e cinque indicatori di disagio psicologico: sintomi depressivi, senso di colpa, problemi relativi alla sfera sessuale, comportamenti e atteggiamenti pericolosi relativi alla possibilità di contrarre il virus dell’Aids, pensieri/tentativi di suicidio. Individui gay con attaccamento ansioso percepiscono più alti livelli di discriminazione e sperimentano una maggiore vulnerabilità a causa della difficoltà di sentirsi degni di approvazione da parte di se stessi e degli altri (Wei, Mallinckrodt et al., 2005). Una ricerca condotta da Rivers (2004) ha evidenziato un’associazione tra minority stress e sintomi da stress postraumatico in soggetti che hanno subito atti di bullismo omofobico.


3 Omofobia interiorizzata

L’omofobia è appannaggio non solo degli individui con orientamento eterosessuale. Infatti anche le persone omosessuali crescono nella stessa cultura in cui l’eterosessualità è trasmessa come qualcosa di scontato e obbligatorio. È questa la forma interiorizzata dell’omofobia, che si manifesta con “sentimenti e atteggiamenti negativi (dal disagio al disprezzo) che una persona omosessuale può provare (più o meno consapevolmente) nei confronti della propria (e altrui) omosessualità” (Lingiardi, 2007a, pag. 51). I suddetti sentimenti e atteggiamenti negativi possono essere riassunti come segue: bassa autostima e accettazione di sé, sentimento di vergogna, inferiorità e inadeguatezza, senso di colpa (anche nei confronti dei propri genitori), la convinzione di essere rifiutati per il proprio orientamento sessuale e che questo sarà fonte di insoddisfazione nella propria vita. Secondo Prati (et al., 2010), la persona omosessuale che cresce in un contento sociale di accettazione  e supporto da parte di genitori, docenti, coetanei, familiari, costruirebbe positivamente la propria identità e questo aiuterebbe a non sviluppare omofobia interiorizzata o ne favorirebbe un’elaborazione efficace.

4 Diritti Europei

L’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta la discriminazione fondata su un esteso ventaglio di motivi, incluso l’orientamento sessuale. Numerosi sono gli inviti da parte del Parlamento Europeo agli Stati membri all’introduzione di una legislazione antidiscriminatoria, all’estensione di pari diritti alle coppie omosessuali, alla concessione di asilo politico nel proprio territorio e alla garanzia al diritto di immigrazione da parte dei partner dello stesso sesso.
Fin dal 1973 la Commissione Europea ha monitorato l’evoluzione dell’opinione pubblica su vari argomenti con l’obiettivo di supportare la preparazione di documenti, programmi e nella valutazione del lavoro svolto. Uno degli strumenti più importanti al proposito è l’EuroBarometer, che fornisce importanti dati nazionali e di confronto tra i vari Stati dell’Unione Europea. Diverse sono state le ricerche sulla situazione, all’interno degli Stati membri, delle persone con orientamento omosessuale.
Ci concentreremo ora sulla situazione nei Paesi Bassi e in Italia, i due Stati membri dell’Unione Europea analizzati e confrontati nel corso di questa analisi.


4.1 Fotografia dei Paesi Bassi

Nei Paesi Bassi l'omofobia, intesa come atto violento e/o incitamento all'odio, è esplicitamente punita come reato con sanzioni carcerarie e/o pecuniarie. L’Olanda, inoltre, permette il matrimonio tra individui dello stesso sesso (prima nazione in Europa), l’adozione da parte di queste coppie e altri tipi di partnership e riconosce quelli contratti all'estero, agevolando le procedure di ricongiungimento familiare e le richieste di asilo o protezione internazionale; ha anche accolto l'obbligo comunitario di creare organismi per le pari opportunità, diretto a tutti i tipi di discriminazione. Il Paese, inoltre, incoraggia esplicitamente l’educazione e il dialogo per combattere gli atteggiamenti negativi verso l’omosessualità.
Per promuovere una cultura di rispetto e inclusione delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT), i Paesi Bassi hanno adottato un documento politico dettagliato per il periodo 2008-2011, intitolato "Simply Gay". Costituisce un piano di azione nazionale che comprende 60 differenti misure, inclusi 24 progetti sponsorizzati da vari enti governativi per incrementare l'accettazione sociale e l'empowerment della LGBT.
I risultati di questa politica di rispetto e di inclusione sono verificabili da numerosi dati: il 95% della popolazione olandese crede che gay e lesbiche dovrebbero poter vivere come meglio credono, una percentuale simile (97%) si sentirebbe a proprio agio ad avere un vicino di casa gay. Il 68% afferma di avere amici o conoscenti LGBT (punteggio più alto in Europa, media europea 38%); inoltre, quando si è chiesto di indicare da 0 a 10 quanto si sentissero a proprio agio con una persona LGBT a ricoprire le più alte cariche dello stato, la popolazione olandese registra 8.2 punti (il 95% si sente a proprio agio con un politico gay), anche in questo caso il punteggio più alto in Europa, dove la media è del 6.5. Questa nazione, inoltre, è in prima posizione nell’accettazione del matrimonio tra omosessuali (82%) e adozione da parte di queste coppie (69%). Infine, il 70% degli olandesi pensa che la relazione di coppia omosessuale non sia affatto sbagliata (European Union Agency for Fundamental Rights, 2011;  Eurobarometer 66, 2007).
Il quadro generale che emerge da queste ricerche è che la popolazione dei Paesi Bassi è abbastanza positiva nei suoi atteggiamenti verso l’omosessualità: la percentuale di questi atteggiamenti negativi è declinata dal 15% nel 2006 al 10% nel 2010 (Keuzenkamp, 2010 e 2011). Confrontata con le altre nazioni europee, la popolazione olandese detiene il primo posto per quanto riguarda l’atteggiamento positivo verso l’omosessualità: soprattutto comparata con la maggioranza delle nazioni meridionali, l’atteggiamento nei Paesi Bassi è molto più positivo.
Secondo il rapporto 2006 dell’Ilga “Social exclusion of young lesbian, gay, bisexual and transgender (LGBT) people in Europe”, la maggioranza dei soggetti olandesi intervistati non riporta episodi personali di esclusione sociale in nessuno degli aspetti esaminati:

Fig. 4.1 – Confronto tra percentuali europee e olandesi di persone che hanno riportato episodi personali di esclusione sociale in differenti ambiti (Ilga, 2006).

Una delle ipotesi esposte nel report è che questa differenza sia il risultato dell’impatto delle politiche e dei programmi che sono stati messi in atto negli ultimi anni nei Paesi Bassi.


4.2 La situazione in Italia

La legge Mancino n. 205 del 1993 è la legge di riferimento in Italia per la tutela dalla discriminazione. In essa, sono esplicitamente elencate le categorie a cui si assicura protezione contro le discriminazioni: razza, etnia, nazionalità e religione. Dopo un lungo dibattito, fu scelto di non includere l'orientamento sessuale. Al momento della scrittura di questo testo, non esiste alcuna legislazione in Italia che protegge dall'omofobia, nonostante le numerose consultazioni parlamentari. L'unica rilevante eccezione è il decreto legislativo no.216/2003 in materia lavorativa che implementa la direttiva comunitaria 2000/78/CE, in cui l'orientamento sessuale è menzionato come uno dei motivi di discriminazione. La parte lesa tuttavia deve portare il caso davanti alla corte e pagarne le spese legali in caso di perdita.
Nel nostro Paese non esistono dati ufficiali sui casi di omofobia e transfobia in Italia. Nonostante l'obbligo comunitario di creare organismi di pari opportunità per risolvere i problemi di discriminazione sessuale o razziale, al momento l'Italia non ha nessun organismo ufficialmente funzionante (European Union Agency for Fundamental Rights (FRA), 2011). Gli unici dati sono rilevati da una delle principali associazioni sul territorio italiano, l’Arcigay, che ogni anno raccoglie un dossier di fonti di stampa che riportano casi di violenza, discriminazione e omicidi di matrice omofobica. È ragionevole pensare che i numeri del dossier sottostimino il fenomeno in quanto questo rimane sommerso e, come nei casi di violenza sessuale sulle donne, non denunciato per vergogna e timori (Prati et al., 2010). I dossier di Arcigay riportano che nel 2009 sono stati registrati 9 casi di omicidio, 45 di violenza e aggressioni, 5 di bullismo e 9 di atti vandalici; nel 2010 i casi di omicidio registrati sono stati 2, i casi di violenza 39, quelli di bullismo 2 e gli atti vandalici 8. Da gennaio 2008 a novembre 2010, 13 persone transgender sono state uccise (contro 2 in Germania e UK, 3 in Spagna e 1 in Portogallo).
Nel settembre 2009 Amnesty International ha pubblicato un report sulla situazione degli attacchi omofobici in Italia, sottolineando come sia i tentativi di omicidio che gli episodi di intolleranza e violenza verso la popolazione LGBT stessero crescendo tanto da destare la preoccupazione dell’organismo internazionale e le sue sollecitazioni alle autorità italiane per assicurare giustizia e sicurezza. Nello stesso periodo e per i medesimi violenti attacchi a sfondo omofobico un comunicato è stato prodotto dall’ILGA, l’organismo che promuove l’uguaglianza dei diversi orientamenti sessuali in Europa (AI, 2009; ILGA).
Secondo il report del FRA (2011, Part II), le autorità pubbliche italiane non hanno potuto o voluto garantire la sicurezza da attacchi di protesta durante dimostrazioni LGBT. Inoltre, tali incidenti sono spesso accompagnati da dichiarazioni pubbliche omofobiche o comunicati offensivi da parte delle stesse istituzioni. In maggio 2008 il Ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna ha rifiutato di dare il patrocinio al Gay Pride a Roma di quell’anno e si è dichiarata contraria all’equiparazione delle unioni tra persone con orientamento omosessuale a quelle tra persone con orientamento eterosessuale. L’Agenzia europea afferma che vi è una chiara sovrapposizione tra gli Stati membri dove le autorità hanno negato il permesso alle dimostrazione LGBT e il verificarsi di violenti attacchi omofobici.
Il Danish Institute for Human Rights (2009) ha stilato una relazione  dettagliata sull’omofobia e la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale in Italia, sottolineando come la tendenza storica della legislazione italiana è caratterizzata da negazione piuttosto che da repressione dell'omosessualità. Sia le relazioni tra partner dello stesso sesso che l'omofobia rimangono invisibili alla regolazione dello Stato. Il sistema legale italiano manca di documenti, statistiche e casistiche sulla discriminazione in base all'orientamento sessuale. Non esiste alcun riconoscimento a livello nazionale delle coppie di fatto (etero e omosessuali) né accesso all'adozione da parte delle sopranominate coppie: il partner dello stesso sesso sposato in Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Svezia non viene riconosciuto in Italia, né vi è alcun riconoscimento legislativo in materia di coppie di fatto, impedendo l'attuazione della Libera Circolazione fra gli Stati raccomandata da EU. Nel Censimento della Popolazione e delle Abitazioni del 21 ottobre 2001 i dati raccolti a proposito di questa tipologia di coppia convivente furono spostati nella categoria “conviventi senza legami di parentela” in quanto difettose, per i responsabili statistici dell’ISTAT, di “troppe variabili aleatorie, come il rispetto della privacy, o la naturale discrezione di tanti omosessuali che preferiscono non rendere visibile la loro realtà” (resoconto stenografico Assemblea Costituente n. 461 del 4/5/2004, Parlamento in seduta comune e legislature repubblicane, pag. 14-17).
Diverse organizzazioni LGBT periodicamente si mobilitano sia per il riconoscimento legale delle coppie di individui dello stesso sesso, sia per l'adozione di una legge contro l'omofobia e la discriminazione, sottolineando l'influenza della Chiesa Cattolica nell'incoraggiare tali riconoscimenti. Numerosi studi hanno verificato la presenza di persecuzioni e bullismo nelle scuole e crimini d'odio quali aree di necessario intervento sociale (Danish Institute for Human Rights, 2009).
Numerosi sono i discorsi omofobici nei media registrati in Italia, dove i discorsi ispirati dall’odio sono considerati reati se espressi nei confronti di gruppi specifici e le persone LGBT non sono incluse tra questi. Ciò rende difficile applicare la legislazione a casi di omofobia.
Secondo i report europei (European Union Agency for Fundamental Rights, 2011;  Eurobarometer 66, 2007), quasi la metà degli italiani non crede che le persone omosessuali debbano vivere liberamente la loro condizione (45%), il 79% degli italiani non è d’accordo con l’affermazione “Considero la relazione sessuale tra due persone dello stesso sesso per nulla sbagliata”. Per quanto riguarda gli altri quesiti, il 69% della popolazione italiana non è d’accordo con l’estensione in tutta l’Europa del diritto di matrimonio fra partner dello stesso sesso, mentre sull’argomento “adozioni” la percentuale sale al 76%. Solo un italiano su tre afferma di avere amici gay e che si sentirebbe a proprio agio ad avere un vicino di casa omosessuale (rispettivamente 32% e 36%). Infine, il 27% degli italiani non si sentirebbe a suo agio con un rappresentante omosessuale alle più alte cariche pubbliche.

4.3 Confronto dei dati

Nella sua ricerca sull’accettazione dell’omosessualità in Europa, Keuzenkamp (et al., 2006) ha sviluppato quattro dimensioni attitudinali per valutare l’omofobia all’interno di una nazione: accettazione generale dell’omosessualità, parità di diritti e (anti)discriminazione, reazioni a pubbliche dimostrazioni (ad es. baci), reazioni all’omosessualità nei contesti familiari. La terza dimensione non ha ancora sufficienti dati di confronto europei. Il seguente grafico riporta quindi i dati percentuali a disposizione e precedentemente esposti e suddivisi secondo le dimensioni della Keuzenkamp:




Fig. 4.2 – Confronto tra le risposte di soggetti italiani e quelle di soggetti olandesi alle domande di opinione in merito a diversi ambiti spiegati nella Tab. 4.1 (Keuzenkamp 2006).



Legenda dei dati riportati in Fig. 4.2
Accettazione generale:
Vita: Le persone omosessuali non dovrebbero essere libere di vivere la loro condizione.
Sesso: Considero sbagliata la relazione sessuale tra due persone dello stesso sesso.
Politica: Non mi sento a mio agio con un leader politico gay.

Parità di diritti:
Matrimonio: Il matrimonio tra omosessuali non dovrebbe essere permesso in Europa.
Adozioni: L’adozione da parte di coppie omosessuali non dovrebbe essere permessa in Europa.

Contesti familiari:
Vicino: Non mi sentirei a mio agio con un vicino di casa omosessuale.
Amici: Non ho amici o conoscenti gay.
 

        In uno studio portato avanti dal World Values Survey in oltre 80 Paesi (2006), è stata chiesta l’opinione su quanto l’omosessualità era ritenuta giustificabile dagli intervistati. La risposta è stata data in una scala che va da 1 (mai giustificabile) a 10 (sempre giustificabile). Per oltre la metà degli italiani l’omosessualità non è mai giustificabile, contro il 16% degli olandesi. I punteggi medi dati dai partecipanti sono indicati nel seguente grafico:


Fig. 4.3: Livelli di giustificabilità dell’orientamento sessuale per nazionalità.




PS-Questo post è una rielaborazione di una parte della mia tesi. Sarò disponibile a fornire tutti riferimenti bibliografici a chi ne farà richiesta.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...