Qualche giorno fa, io ed alcuni amici psicologi abbiamo cominciato a
discutere della tecnologia, dei videogiochi e del loro effetto su di noi, in
particolare i giovani.
La presenza dell’informatica nella nostra vita è un fatto
ormai assodato quanto quello che sia cresciuta troppo rapidamente. Da qui la necessità di dare rotte
specifiche per saper utilizzare al meglio questo strumento dalle enormi
potenzialità. Rotte che la scuola e gli psicologi dell’educazione sono chiamati
a disegnare per rendere competenti in materia sia gli insegnanti che i
genitori, perché non bisogna dimenticare che una volta suonata la campanella i
bambini tornano a casa e anche lì devono trovare un ambiente ideale alla loro
educazione.
La nostra discussione è stata piuttosto vivace e partecipata, snodandosi
su vari aspetti dell’argomento in questione.
Il tema è stato approcciato parlando del gioco in generale, esplorando
questo argomento anche in altre civiltà odierne meno evolute tecnologicamente
di noi: ne è emerso che il gioco è una naturale attività umana che si conserva
anche in età adulta: seppure spesso i gioco dei “grandi” sono diversi da quelli
dei più piccoli, lo spirito di ricerca di divertimento, confronto,
gareggiamento ed evasione è lo stesso.
Facendo quindi un confronto fra i giochi del passato e quelli del nostro
tempo tecnologico, si è andata evidenziando una notevole differenza: i giochi
dei nostri nonni e genitori vengono definiti più spensierati, liberi, creativi,
naturalmente educativi e socializzanti. È soprattutto lo stare fuori all’aria
aperta il pregio principale di questi giochi ma, come una mamma ci ha fatto
notare, oggi i genitori sono tutti più ansiosi e apprensivi e, soprattutto
nelle grandi città come Roma, lasciare uscire i propri bambini sotto casa è una
cosa impossibile mentre accompagnarli al parco con amici è molto difficile a
causa della mancanza di tempo che tutti indistintamente denunciamo.
Al contrario, ciò che è stato sottolineato nei giochi tecnologici di oggi sono stati i difetti, destinando l’analisi però soprattutto ai videogiochi verso i quali la maggior parte di noi rivela una particolare intolleranza e contrarietà. In essi vengono visti: la violenza, spesso utilizzata come mezzo per arrivare a degli obiettivi e mostrata come qualcosa di piacevole e priva di conseguenze reali; l’isolamento che il bambino (o il ragazzo o l’adulto) subisce, in quanto il videogioco è la maggior parte delle volte un confronto fra una persona ed una consolle; la mancanza di creatività dovuta all’uso di un universo già progettato e soprattutto pressoché ripetitivo.
Al contrario, ciò che è stato sottolineato nei giochi tecnologici di oggi sono stati i difetti, destinando l’analisi però soprattutto ai videogiochi verso i quali la maggior parte di noi rivela una particolare intolleranza e contrarietà. In essi vengono visti: la violenza, spesso utilizzata come mezzo per arrivare a degli obiettivi e mostrata come qualcosa di piacevole e priva di conseguenze reali; l’isolamento che il bambino (o il ragazzo o l’adulto) subisce, in quanto il videogioco è la maggior parte delle volte un confronto fra una persona ed una consolle; la mancanza di creatività dovuta all’uso di un universo già progettato e soprattutto pressoché ripetitivo.
Molti si sono chiesti come riusciamo a stare per ore incollati, quasi
ipnotizzati, d’avanti allo schermo mentre videogiocano: la risposta è che viene coinvolto quasi esclusivamente
l'emisfero sinistro del cervello, sede dell'elaborazione logico-razionale
dell'informazione e ricerca i nessi di causa-effetto. Il videogioco è fatto in
modo da avere una sequenza di tasti che, se premuti nel giusto ordine, danno
una risposta positiva: questo meccanismo, premio-punizione, innesca una
risposta compulsiva che fa ricercare nuovamente la sensazione di vittoria,
acquisendo abilità nel gioco e vedendo soddisfatte continuamente le richieste
di vittoria. Questo meccanismo è quello alla base della produzione di un
neurotrasmettitore, la dopamina, una sorta di ricompensa che il cervello
distribuisce provocando una sensazione di piacere che fa desiderare nuovamente
quella cosa.
Poiché l’argomento ci stava
prendendo, siamo andati su internet per trovare, grazie a pubblicazioni
sull’argomento, dei pregi che il videogioco porta con sé: lo sviluppo del
ragionamento induttivo, grazie al quale il bambino sviluppa nel corso del gioco
l’esperienza che gli permette di organizzare le informazioni prima caotiche e
trarne un senso e delle regole; lo sviluppo della capacità di coordinazione
delle prospettive; molti videogiochi, come quelli di ruolo, richiedono
(l’incremento di) una capacità creativa e di scelta anche complessa del tipo di
azione da eseguire momento dopo momento.
Accanto ai videogiochi
creati dalle case produttrici in primo luogo per far soldi, vi è
un altro tipo di espressione della tecnologia nel gioco, ovvero i software
didattici. Verso questi programmi,
spesso semplici solo nell’apparenza, tutti noi abbiamo espresso pieno appoggio
e accordo. Ed ecco che le principali pecche notate nei videogiochi sono state
riabilitate nei software didattici che tutti noi abbiamo giudicato ottime
modalità di studio, spesso le migliori per riaccendere la motivazione in
bambini che hanno difficoltà a misurarsi con la tradizionale quanto limitata
modalità di trasmissione della conoscenza da insegnante onnisciente a scolaro
tabula rasa. Personaggi animati che spiegano ai bambini le frazioni, dvd che
insegnano l’inglese, software che insegnano la storia e che simulano situazioni
della vita reale che sono impossibili da esperire in maniera diretta: tutti
questi programmi sono spesso poco utilizzati dalla scuola di oggi, che vede
insegnanti troppo spesso irrigiditi nel loro ruolo tradizionale.
La conclusione a cui siamo arrivati è questa: i bambini di oggi (ma un po’
anche noi stessi) sono figli del mondo moderno e per questo non è possibile
prescindere la loro crescita dagli strumenti tecnologici che ogni giorno
vengono sviluppati. I computer sono per loro natura attraenti, pieni di suoni,
luci, animazioni che attirano il cervello dei bambini così affamato di nuovi
stimoli. Quindi il passo decisivo è quello di responsabilizzare i genitori e
gli insegnanti rispetto all’uso delle tecnologie, non facendo del pc, come
della televisione, un babysitter ma insegnando ai bambini ad utilizzare in
maniera giusta questi importanti strumenti. I genitori, per esempio, dovrebbero
informarsi sui videogiochi che i bambini utilizzano, partecipare alla scelta
dei titoli e non comprarli solo perché il bambino lo vuole, senza analizzarne i
contenuti, con la scusa che “io non ci capisco niente di computer”. Molti
software educativi sono in commercio e pubblicizzati e dunque è facile averne a
disposizione, indirizzando quindi la voglia di pc dei propri figli in qualcosa
di davvero utile, senza però negare loro anche un videogioco senza finalità
educative, perché c’è bisogno anche dell’evasione: sarebbe importante, in
questo caso, giocare insieme, per discutere su quali sono i punti positivi del
videogioco, condannare quelli negativi ed evidenziare quelli che, nella realtà,
avrebbero ben altre conseguenze. Nota molto importante, inoltre, è la
socializzazione che può passare anche attraverso l’uso comune tra piccoli amici
del computer. L’importante è poi uscire tutti insieme all’aria aperta, in un
parco cittadino, per toccare con mano l’ambiente esterno, quello reale, dal quale
non bisogna mai alienarsi.
Gli insegnanti, dal canto loro, dovrebbero (e potrebbero loro stessi)
documentarsi e formarsi sulle nuove tecnologie, magari mettendo a disposizione
in classe il loro portatile se la scuola non è fornita di pc. Ormai tutte le
riviste di aggiornamento per i professori di tutte le scuole parlano dei
software didattici e del loro uso nella scuola. L’insegnante ha il compito
quindi di mostrare un lato più giocoso dell’apprendimento, più piacevole che
passa attraverso uno strumento che i bambini conoscono ormai benissimo e che si
può utilizzare anche in classe con fini educativi; l’importante è analizzare
poi tutti insieme le abilità acquisite e i processi cognitivi attivi durante
l’esecuzione del gioco, compito che va a sviluppare nel bambino il senso
critico e l’analisi di quello che si sta facendo, rendendolo partecipe attivo,
e non passivo, del programma educativo che qualcun altro ha realizzato per
loro. Questo è fattibile alternando a questo tipo di software anche quelli in cui
la creatività è messa alla prova, in cui è il bambino stesso a costruire il
programma. Educazione in questo senso significa rendere il bambino ogni giorno
consapevole di tutte le offerte della nuova tecnologica, non solo di quelle a
livello ludico che fanno passare il tempo e divertono senza un grande impegno
cognitivo.
Concludo questo mio post con una ricerca di quest’anno che parla proprio
della relazione tra videogiochi ed educazione. Alcuni bambini con gravi
difficoltà psichiche sono stati invitati da alcuni ricercatori ad “divertirsi”
con uno speciale videogioco il cui obiettivo era attaccare le astronavi nemiche
e fare attenzione a non colpire quelle della propria squadra. Durante il gioco
è stato osservato il battito cardiaco: nel momento in cui i battiti superavano
una certa soglia, i bambini non potevano più sparare le navi nemiche. Per poter
sparare di nuovo, i bambini dovevano quindi imparare a calmarsi, e a rimanere
calmi durante il gioco.
Dopo sole cinque sessioni questo tipo di trattamento si è dimostrato più
efficace di quelli classici, come la terapia cognitivo-comportamentale,
esercizi di rilassamento o sviluppo delle abilità sociali. I bambini hanno
riportato che l’emozione di rabbia è diminuita e che questo tipo di terapia
stava davvero funzionando.
Ecco un modo molto intelligente di utilizzare i videogiochi.
Ducharme, P., Wharff,
E., Kahn, J., Hutchinson, E., Logan, G. (2012). Augmenting anger control
therapy with a videogame requiring emotional control: A pilot study on an
impatient psychiatric unit. Adolescent Psychiatry, 2(4), 323-332.