Il 30 novembre a
Venezia un
ragazzo di 16 anni si è fatto forza e, assieme alla sua famiglia, ha
denunciato i compagni di scuola colpevoli di bullismo omofobico. Solo cinque
giorni prima a Roma una
donna transessuale è stata picchiata a sangue per aver chiesto un passaggio
con troppa insistenza. Mentre ancora ricordiamo il suicidio
del ragazzo di 15 anni che si è impiccato a seguito delle persecuzioni
omofobiche sempre da parte dei compagni di classe.
Questa non è una
situazione di emergenza, non è una situazione stra-ordinaria. È la quotidianità
in un Paese in cui l’unico orientamento sessuale possibile è quello
eterosessuale.
Ma in Paesi come l’Italia
non importa se tu sei veramente gay/lesbica/transgender, quello che
importa è come gli altri ti percepiscono: se i tuoi comportamenti non rientrano
negli stereotipi culturali di maschio vs femmina, potresti essere vittima di
omofobia. In Paesi come l’Italia tuo figlio, a scuola, potrebbe essere chiamato
“frocio”, essere vittima di attacchi verbali e fisici, e probabilmente tu non
lo saprai mai.
Più avanti faremo
un confronto tra l’Italia e la realtà Europea. Dopo questa introduzione,
andiamo più a fondo nell’argomento.
1 Gli
orientamenti sessuali
La teoria di Alfred Kinsey spiega l’orientamento
sessuale come un continuum, una linea ai cui estremi vi sono l’omosessualità e l’eterosessualità:
gli individui (con i loro pensieri, comportamenti, attitudini, ecc.) si
dispongono in un punto qualsiasi di questo continuum, ed è probabile che questa
posizione cambi durante l’arco della loro vita.
La stima adottata
ufficialmente dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per valutare
l'incidenza dell'omosessualità esclusiva all'interno della popolazione umana è
del 5% e proviene da una ricerca risalente al 1947, effettuata dal biologo e
sessuologo Alfred Kinsey. A questo dato, che si riferisce al numero di persone
che avevano avuto rapporti esclusivamente omosessuali, dovremmo accostare un
ulteriore 5% che è invece il numero di soggetti che, pur avendo avuto rapporti
con entrambi i sessi, ne avevano avuti soprattutto con persone del loro stesso
sesso. Il cosiddetto Rapporto Kinsey è una ricerca molto importante per
l'elevato numero del campione e perché si basa sui comportamenti effettivi e
non sull'opinione del soggetto. Le numerose critiche avanzate, quasi
esclusivamente di stampo moralistico e religioso, sono state smentite da studi
successivi che hanno confermato la correttezza dei metodi di Kinsey. Per
esattezza, i risultati sono i seguenti: il 46% dei soggetti maschi ha avuto
rapporti sessuali di diverso tipo con persone di entrambi i sessi; il 37% ha
avuto almeno una volta un'esperienza omosessuale; il 10% ha avuto esclusivi
rapporti omosessuali per almeno tre anni tra i 16 e i 55 anni (Kinsey et al.
1998a). I dati relativi alle donne sono: l'11% ha avuto rapporti
indistintamente omo ed eterosessuali tra i 20 e i 35 anni; nella stessa fascia
d'eta, la percentuale di donne che hanno avuto esclusivi rapporti omosessuali è
dal 2 al 6% (Kinsey et al., 1998b).
L'intero mondo
scientifico, quindi, afferma che:
tutti gli orientamenti sessuali hanno la
stessa dignità d’essere e siano tutti allo stesso modo espressione della natura
degli esseri viventi (non solo
degli esseri umani);
al momento, non è stata scientificamente trovata una "causa" definitiva né genetica né di altro tipo per gli orientamenti sessuali: la teoria più accreditata è che sia una risultante di interazione tra genetica ed esperienza, come moltissimi aspetti degli esseri viventi;
l'orientamento sessuale non è una scelta: l'individuo non sceglie di sentirsi in un certo modo, di sentirsi sessualmente ed affettivamente attratto da un maschio piuttosto che da una femmina o da entrambi. Quello che l'individuo prova nel suo profondo è l'espressione del suo orientamento sessuale.
2 Cos’è
l’omofobia
Il termine
omofobia è stato coniato nel 1971 da Kenneth Smith e rappresenta una forma
atipica di fobia che si riferisce ad una serie di reazioni fisiologiche e
psicologiche involontarie alla presenza di persone con orientamento omosessuale.
È considerata una forma atipica di fobia in quanto «molti comportamenti e
affermazioni comunemente considerati omofobi non sono principalmente basati
sulla paura o l’imbarazzo, ma piuttosto sul pregiudizio e la disapprovazione»
(Lingiardi, 2007a, pag. 47). Allontanandosi quindi dall’irrazionalità della
fobia classica, l’omofobia è piuttosto un fenomeno sociale al quale l’individuo
è esposto fin dall’infanzia, in quanto immerso in contesti familiari, scolastici
e, più in generale, sociali nei quali l’orientamento accettato è quello
eterosessuale, in una cultura eterosessista in cui ogni altro orientamento
sessuale è un argomento tabù, bersaglio di denigrazione e derisione e l’omosessualità
può essere considerata peccaminosa, ridicolizzabile, una malattia (Lingiardi,
2007a).
Secondo diversi
autori, la parola “omofobia” è riduttiva, nonché poco corretta, in quanto è
questo un fenomeno non solo psicologico, ma anche sociale, culturale, legale ed
etico (Raja & Stokes, 1998; Blumenfeld, 1992). Nella fobia, come
comunemente definita, l’individuo è consapevole della sua irrazionalità ed
inadeguatezza e, di conseguenza, vorrebbe liberarsene. Nel caso dell’omofobia,
al contrario, l’individuo ritiene normale e giustificata la sua reazione, la
quale non compromette il suo funzionamento sociale, e non avverte il bisogno di
cambiare il suo atteggiamento. Inoltre, l’omofobia può esprimersi non solo con
l’evitamento, come nel caso della fobia classica, ma anche con comportamenti
attivi di avversione o deliberata aggressività. Inoltre, proprio per il suo
carattere multidimensionale, l’omofobia può evidenziarsi in taluni campi di
opinione, mentre può essere assente in altri: ad esempio, una persona potrebbe
essere a favore dell’estensione di alcuni diritti alle persone omosessuali, ma
avere reazioni negative nell’interazione diretta con alcune di esse. Le ragioni
appena illustrate avrebbero quindi convinto alcuni studiosi a parlare di
“omonegatività”, in cui la dimensione psicologica di “fobia” è solo uno degli
aspetti da considerare (Prati, Pietrantoni, Buccoliero, Maggi, 2010; Lingiardi,
2007a).
I risultati
delle ricerche mostrano che gli atteggiamenti omofobici si riscontrano
maggiormente verso gli omosessuali del proprio sesso e nella popolazione
maschile più che tra le donne (Prati, Pietrantoni, & D’Augelli, 2011; Lingiardi,
Falanga, & D’Augelli, 2005) . La spiegazione di questo fenomeno è stata
indicata in tre motivi: la socializzazione tra maschi è maggiormente vincolata
a rigidi schemi e prevede meno variabilità rispetto a quella tra femmine e tra
individui di sesso opposto; la convinzione comune è che ruolo di genere
culturalmente stabilito e orientamento eterosessuale coincidano più negli uomini,
mentre questa sovrapposizione non è necessaria nelle donne; il ruolo di genere
maschile porta vantaggi sociali essendo identificato con potere, popolarità,
prestigio (Prati et al, 2010).
Unitamente agli
ultimi due punti, occorre ricordare che, stereotipicamente, il maschio eterosessuale
considera la donna come preda ed oggetto sessuale. L’essere a sua volta
considerato obiettivo dell’attenzione da parte di altri maschi metterebbe in
pericolo la cultura eterosessista in cui il maschio è, appunto, il sesso
dominante (Keel, 2005; Chodorow, 1999). Nonostante questo concetto di
mascolinità stia attraversando un periodo di mutamento, studiosi di
antropologia e sociologia hanno osservato come “essere maschi” nella società
occidentale moderna si articoli più con la negazione che con l’affermazione di
alcune caratteristiche: non essere femminile, effeminato, docile, dipendente,
sottomesso, ecc. Queste caratteristiche sono stereotipicamente viste come,
appunto, espressione di orientamento omosessuale, in una errata sovrapposizione
tra ruolo di genere, identità di genere
ed orientamento sessuale (Dimen & Goldner, 2006; Herek, 1996).
Nel caso di
individui appartenenti a minoranze, ad esempio etniche o religiose, pregiudizio
e discriminazione vengono generalmente controbilanciati dal supporto della
propria famiglia e rete sociale. Nel caso di persone con orientamento
omosessuale, tuttavia, questa forma di supporto viene solitamente a mancare. Un
significativo numero di persone nasconde il proprio orientamento omosessuale dai
parenti per evitare di sperimentare la discriminazione all’interno della
propria stessa famiglia. La mancanza di supporto rende gli attacchi
discriminatori seri fattori rilevanti e misurabili di stress (Saraceno, 2003;
Moss, 2003).
Il minority
stress si riferisce allo stress derivante dall’appartenere a un gruppo di
minoranza: può accadere che lo sviluppo psicologico delle persone omosessuali
ha segni di stress continuativo conseguenza di ambienti ostili o indifferenti a
episodi di stigmatizzazione e violenza omofobica. Meyer (per es. Meyer &
Northridge, 2006) indica tre dimensioni del minority stress sperimentato dalle persone con orientamento
omosessuale: omofobia interiorizzata, stigma percepito, esperienze di
discriminazione e violenza subite. La ricerca indica una correlazione positiva
tra il minority stress e cinque indicatori di disagio psicologico:
sintomi depressivi, senso di colpa, problemi relativi alla sfera sessuale, comportamenti
e atteggiamenti pericolosi relativi alla possibilità di contrarre il virus
dell’Aids, pensieri/tentativi di suicidio. Individui gay con attaccamento
ansioso percepiscono più alti livelli di discriminazione e sperimentano una
maggiore vulnerabilità a causa della difficoltà di sentirsi degni di
approvazione da parte di se stessi e degli altri (Wei, Mallinckrodt et al.,
2005). Una ricerca condotta da Rivers (2004) ha evidenziato un’associazione tra
minority stress e sintomi da stress postraumatico in soggetti che hanno
subito atti di bullismo omofobico.
3 Omofobia
interiorizzata
L’omofobia è
appannaggio non solo degli individui con orientamento eterosessuale. Infatti
anche le persone omosessuali crescono nella stessa cultura in cui
l’eterosessualità è trasmessa come qualcosa di scontato e obbligatorio. È
questa la forma interiorizzata dell’omofobia, che si manifesta con “sentimenti
e atteggiamenti negativi (dal disagio al disprezzo) che una persona omosessuale
può provare (più o meno consapevolmente) nei confronti della propria (e altrui)
omosessualità” (Lingiardi, 2007a, pag. 51). I suddetti sentimenti e
atteggiamenti negativi possono essere riassunti come segue: bassa autostima e
accettazione di sé, sentimento di vergogna, inferiorità e inadeguatezza, senso
di colpa (anche nei confronti dei propri genitori), la convinzione di essere
rifiutati per il proprio orientamento sessuale e che questo sarà fonte di
insoddisfazione nella propria vita. Secondo Prati (et al., 2010), la persona omosessuale che cresce in un contento
sociale di accettazione e supporto da
parte di genitori, docenti, coetanei, familiari, costruirebbe positivamente la
propria identità e questo aiuterebbe a non sviluppare omofobia interiorizzata o
ne favorirebbe un’elaborazione efficace.
4 Diritti
Europei
L’articolo 21
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta la
discriminazione fondata su un esteso ventaglio di motivi, incluso
l’orientamento sessuale. Numerosi sono gli inviti da parte del Parlamento
Europeo agli Stati membri all’introduzione di una legislazione
antidiscriminatoria, all’estensione di pari diritti alle coppie omosessuali, alla
concessione di asilo politico nel proprio territorio e alla garanzia al diritto
di immigrazione da parte dei partner dello stesso sesso.
Fin dal 1973 la
Commissione Europea ha monitorato l’evoluzione dell’opinione pubblica su vari
argomenti con l’obiettivo di supportare la preparazione di documenti, programmi
e nella valutazione del lavoro svolto. Uno degli strumenti più importanti al
proposito è l’EuroBarometer, che fornisce importanti dati nazionali e di
confronto tra i vari Stati dell’Unione Europea. Diverse sono state le ricerche
sulla situazione, all’interno degli Stati membri, delle persone con
orientamento omosessuale.
Ci concentreremo
ora sulla situazione nei Paesi Bassi e in Italia, i due Stati membri
dell’Unione Europea analizzati e confrontati nel corso di questa analisi.
4.1 Fotografia
dei Paesi Bassi
Nei Paesi Bassi l'omofobia,
intesa come atto violento e/o incitamento all'odio, è esplicitamente punita
come reato con sanzioni carcerarie e/o pecuniarie. L’Olanda, inoltre, permette
il matrimonio tra individui dello stesso sesso (prima nazione in Europa),
l’adozione da parte di queste coppie e altri tipi di partnership e riconosce
quelli contratti all'estero, agevolando le procedure di ricongiungimento
familiare e le richieste di asilo o protezione internazionale; ha anche accolto
l'obbligo comunitario di creare organismi per le pari opportunità, diretto a
tutti i tipi di discriminazione. Il Paese, inoltre, incoraggia esplicitamente
l’educazione e il dialogo per combattere gli atteggiamenti negativi verso
l’omosessualità.
Per promuovere
una cultura di rispetto e inclusione delle persone lesbiche, gay, bisessuali e
transessuali (LGBT), i Paesi Bassi hanno adottato un documento politico
dettagliato per il periodo 2008-2011, intitolato "Simply Gay".
Costituisce un piano di azione nazionale che comprende 60 differenti misure, inclusi
24 progetti sponsorizzati da vari enti governativi per incrementare
l'accettazione sociale e l'empowerment
della LGBT.
I risultati di
questa politica di rispetto e di inclusione sono verificabili da numerosi dati:
il 95% della popolazione olandese crede che gay e lesbiche dovrebbero poter
vivere come meglio credono, una percentuale simile (97%) si sentirebbe a
proprio agio ad avere un vicino di casa gay. Il 68% afferma di avere amici o
conoscenti LGBT (punteggio più alto in Europa, media europea 38%); inoltre,
quando si è chiesto di indicare da 0 a 10 quanto si sentissero a proprio agio
con una persona LGBT a ricoprire le più alte cariche dello stato, la
popolazione olandese registra 8.2 punti (il 95% si sente a proprio agio con un
politico gay), anche in questo caso il punteggio più alto in Europa, dove la
media è del 6.5. Questa nazione, inoltre, è in prima posizione
nell’accettazione del matrimonio tra omosessuali (82%) e adozione da parte di
queste coppie (69%). Infine, il 70% degli olandesi pensa che la relazione di
coppia omosessuale non sia affatto sbagliata (European Union Agency for
Fundamental Rights, 2011; Eurobarometer
66, 2007).
Il quadro
generale che emerge da queste ricerche è che la popolazione dei Paesi Bassi è
abbastanza positiva nei suoi atteggiamenti verso l’omosessualità: la
percentuale di questi atteggiamenti negativi è declinata dal 15% nel 2006 al
10% nel 2010 (Keuzenkamp, 2010 e 2011). Confrontata con le altre nazioni
europee, la popolazione olandese detiene il primo posto per quanto riguarda
l’atteggiamento positivo verso l’omosessualità: soprattutto comparata con la
maggioranza delle nazioni meridionali, l’atteggiamento nei Paesi Bassi è molto
più positivo.
Secondo il
rapporto 2006 dell’Ilga “Social exclusion of young lesbian, gay, bisexual and
transgender (LGBT) people in Europe”, la maggioranza dei soggetti olandesi
intervistati non riporta episodi personali di esclusione sociale in nessuno
degli aspetti esaminati:
Fig. 4.1 – Confronto tra
percentuali europee e olandesi di persone che hanno riportato episodi personali
di esclusione sociale in differenti ambiti (Ilga, 2006).
Una delle
ipotesi esposte nel report è che questa differenza sia il risultato
dell’impatto delle politiche e dei programmi che sono stati messi in atto negli
ultimi anni nei Paesi Bassi.
4.2 La
situazione in Italia
La legge Mancino
n. 205 del 1993 è la legge di riferimento in Italia per la tutela dalla
discriminazione. In essa, sono esplicitamente elencate le categorie a cui si
assicura protezione contro le discriminazioni: razza, etnia, nazionalità e
religione. Dopo un lungo dibattito, fu scelto di non includere l'orientamento
sessuale. Al momento della scrittura di questo testo, non esiste alcuna
legislazione in Italia che protegge dall'omofobia, nonostante le numerose
consultazioni parlamentari. L'unica rilevante eccezione è il decreto
legislativo no.216/2003 in materia lavorativa che implementa la direttiva
comunitaria 2000/78/CE, in cui l'orientamento sessuale è menzionato come uno
dei motivi di discriminazione. La parte lesa tuttavia deve portare il caso davanti
alla corte e pagarne le spese legali in caso di perdita.
Nel nostro Paese
non esistono dati ufficiali sui casi di omofobia e transfobia in Italia. Nonostante
l'obbligo comunitario di creare organismi di pari opportunità per risolvere i
problemi di discriminazione sessuale o razziale, al momento l'Italia non ha
nessun organismo ufficialmente funzionante (European Union Agency for
Fundamental Rights (FRA), 2011). Gli unici dati sono rilevati da una delle
principali associazioni sul territorio italiano, l’Arcigay, che ogni anno
raccoglie un dossier di fonti di stampa che riportano casi di violenza,
discriminazione e omicidi di matrice omofobica. È ragionevole pensare che i
numeri del dossier sottostimino il fenomeno in quanto questo rimane sommerso e,
come nei casi di violenza sessuale sulle donne, non denunciato per vergogna e
timori (Prati et al., 2010). I
dossier di Arcigay riportano che nel 2009 sono stati registrati 9 casi di
omicidio, 45 di violenza e aggressioni, 5 di bullismo e 9 di atti vandalici;
nel 2010 i casi di omicidio registrati sono stati 2, i casi di violenza 39,
quelli di bullismo 2 e gli atti vandalici 8. Da gennaio 2008 a novembre 2010, 13
persone transgender sono state uccise (contro 2 in Germania e UK, 3 in Spagna e
1 in Portogallo).
Nel settembre 2009 Amnesty International ha pubblicato un report sulla situazione
degli attacchi omofobici in Italia, sottolineando come sia i tentativi di
omicidio che gli episodi di intolleranza e violenza verso la popolazione LGBT
stessero crescendo tanto da destare la preoccupazione dell’organismo
internazionale e le sue sollecitazioni alle autorità italiane per assicurare giustizia
e sicurezza. Nello stesso periodo e per i medesimi violenti attacchi a sfondo
omofobico un comunicato è stato prodotto dall’ILGA, l’organismo che promuove
l’uguaglianza dei diversi orientamenti sessuali in Europa (AI, 2009; ILGA).
Secondo il
report del FRA (2011, Part II), le autorità pubbliche italiane non hanno potuto
o voluto garantire la sicurezza da attacchi di protesta durante dimostrazioni
LGBT. Inoltre, tali incidenti sono spesso accompagnati da dichiarazioni
pubbliche omofobiche o comunicati offensivi da parte delle stesse istituzioni.
In maggio 2008 il Ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna ha rifiutato di
dare il patrocinio al Gay Pride a Roma di quell’anno e si è dichiarata
contraria all’equiparazione delle unioni tra persone con orientamento
omosessuale a quelle tra persone con orientamento eterosessuale. L’Agenzia
europea afferma che vi è una chiara sovrapposizione tra gli Stati membri dove
le autorità hanno negato il permesso alle dimostrazione LGBT e il verificarsi
di violenti attacchi omofobici.
Il Danish
Institute for Human Rights (2009) ha stilato una relazione dettagliata sull’omofobia e la
discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale in Italia, sottolineando
come la tendenza storica della legislazione italiana è caratterizzata da
negazione piuttosto che da repressione dell'omosessualità. Sia le relazioni tra
partner dello stesso sesso che l'omofobia rimangono invisibili alla regolazione
dello Stato. Il sistema legale italiano manca di documenti, statistiche e
casistiche sulla discriminazione in base all'orientamento sessuale. Non esiste
alcun riconoscimento a livello nazionale delle coppie di fatto (etero e
omosessuali) né accesso all'adozione da parte delle sopranominate coppie: il partner
dello stesso sesso sposato in Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Svezia
non viene riconosciuto in Italia, né vi è alcun riconoscimento legislativo in
materia di coppie di fatto, impedendo l'attuazione della Libera Circolazione
fra gli Stati raccomandata da EU. Nel Censimento della Popolazione e delle
Abitazioni del 21 ottobre 2001 i dati raccolti a proposito di questa tipologia
di coppia convivente furono spostati nella categoria “conviventi senza legami
di parentela” in quanto difettose, per i responsabili statistici dell’ISTAT, di
“troppe variabili aleatorie, come il rispetto della privacy, o la naturale
discrezione di tanti omosessuali che preferiscono non rendere visibile la loro
realtà” (resoconto stenografico Assemblea Costituente n. 461 del 4/5/2004,
Parlamento in seduta comune e legislature repubblicane, pag. 14-17).
Diverse
organizzazioni LGBT periodicamente si mobilitano sia per il riconoscimento
legale delle coppie di individui dello stesso sesso, sia per l'adozione di una
legge contro l'omofobia e la discriminazione, sottolineando l'influenza della
Chiesa Cattolica nell'incoraggiare tali riconoscimenti. Numerosi studi hanno
verificato la presenza di persecuzioni e bullismo nelle scuole e crimini d'odio
quali aree di necessario intervento sociale (Danish Institute for Human Rights,
2009).
Numerosi sono i
discorsi omofobici nei media registrati in Italia, dove i discorsi ispirati
dall’odio sono considerati reati se espressi nei confronti di gruppi specifici
e le persone LGBT non sono incluse tra questi. Ciò rende difficile applicare la
legislazione a casi di omofobia.
Secondo i report
europei (European Union Agency for Fundamental Rights, 2011; Eurobarometer 66, 2007), quasi la metà degli
italiani non crede che le persone omosessuali debbano vivere liberamente la
loro condizione (45%), il 79% degli italiani non è d’accordo con l’affermazione
“Considero la relazione sessuale tra due persone dello stesso sesso per nulla
sbagliata”. Per quanto riguarda gli altri quesiti, il 69% della popolazione
italiana non è d’accordo con l’estensione in tutta l’Europa del diritto di
matrimonio fra partner dello stesso sesso, mentre sull’argomento “adozioni” la
percentuale sale al 76%. Solo un italiano su tre afferma di avere amici gay e
che si sentirebbe a proprio agio ad avere un vicino di casa omosessuale
(rispettivamente 32% e 36%). Infine, il 27% degli italiani non si sentirebbe a
suo agio con un rappresentante omosessuale alle più alte cariche pubbliche.
4.3 Confronto
dei dati
Nella sua
ricerca sull’accettazione dell’omosessualità in Europa, Keuzenkamp (et al.,
2006) ha sviluppato quattro dimensioni attitudinali per valutare l’omofobia
all’interno di una nazione: accettazione generale dell’omosessualità, parità di
diritti e (anti)discriminazione, reazioni a pubbliche dimostrazioni (ad es.
baci), reazioni all’omosessualità nei contesti familiari. La terza dimensione
non ha ancora sufficienti dati di confronto europei. Il seguente grafico
riporta quindi i dati percentuali a disposizione e precedentemente esposti e
suddivisi secondo le dimensioni della Keuzenkamp:
Fig. 4.2 – Confronto tra le risposte di soggetti
italiani e quelle di soggetti olandesi alle domande di opinione in merito a diversi
ambiti spiegati nella Tab. 4.1 (Keuzenkamp 2006).
Legenda dei dati riportati in Fig. 4.2
Accettazione generale:
Vita: Le persone omosessuali non
dovrebbero essere libere di vivere la loro condizione.
Sesso: Considero sbagliata la
relazione sessuale tra due persone dello stesso sesso.
Politica: Non mi sento a mio agio con
un leader politico gay.
Parità di diritti:
Matrimonio: Il matrimonio tra
omosessuali non dovrebbe essere permesso in Europa.
Adozioni: L’adozione da parte di
coppie omosessuali non dovrebbe essere permessa in Europa.
Contesti familiari:
Vicino: Non mi sentirei a mio agio
con un vicino di casa omosessuale.
Amici: Non ho amici o conoscenti gay.
In uno studio
portato avanti dal World Values Survey in oltre 80 Paesi (2006), è stata
chiesta l’opinione su quanto l’omosessualità era ritenuta giustificabile dagli
intervistati. La risposta è stata data in una scala che va da 1 (mai
giustificabile) a 10 (sempre giustificabile). Per oltre la metà degli italiani
l’omosessualità non è mai giustificabile, contro il 16% degli olandesi. I
punteggi medi dati dai partecipanti sono indicati nel seguente grafico:
Fig. 4.3: Livelli di giustificabilità
dell’orientamento sessuale per nazionalità.
PS-Questo post è una rielaborazione di una parte della mia tesi. Sarò disponibile a fornire tutti riferimenti bibliografici a chi ne farà richiesta.